
2. IMMEDESIMAZIONE
Perché è importante che nelle scuole sia introdotto l’insegnamento obbligatorio della seguente disciplina: immedesimazione?
L'opinione dell'Autore
I mmedesimazione. Immedesimarsi. Teoria e pratica. Immedesimazione: un sostantivo concettuale. Immedesimarsi: un processo di sperimentazione. Se l’immedesimazione fosse adottata come principio morale fondativo della vita di relazione con gli altri, aggiungerebbe indiscussa forza alla coscienza del bene comune. Perché stimolerebbe l’istinto innato di autoconservazione e di conseguenza il sentimento di solidarietà. L’insegnare immedesimazione esige l’uso di tecniche di laboratorio: analizzare foto, filmati, documentari, inchieste sulla realtà; interrogare tutti coloro, individui ed organizzazioni, che si occupano di emergenze sociali ed offrono servizi; effettuare visite dei luoghi frequentati e ascoltare le persone che soffrono emergenze e disagi. Per individuare la sofferenza, capirla, e mobilitarsi per denunciarla, lenirla e poi rimuoverla. Immedesimazione è una disciplina pratica che agisce solo sul vissuto, soprattutto sulla realtà più dura e bisognosa di attenzione, comprensione, aiuto.
La sua teoria e la sua filosofia sgorgano direttamente dalle esperienze concrete della vita di ogni giorno, dall’analisi sincera e impietosa dei fatti accaduti, e diventano pensiero consapevole, capace di produrre azioni consapevoli. Una teoria ed una filosofia che si formano per deduzione. E si arricchiscono di continuo attraverso la sperimentazione di nuovi casi e di nuovi materiali. Se l’umanità fosse più attenta al prossimo, fosse più generosa, non ci sarebbe alcun bisogno di immedesimazione. Questa disciplina diviene purtroppo necessaria per opporsi ai guasti devastanti che l’egoismo, l’indifferenza, l’inimicizia provocano, spesso involontariamente, nella carne viva del tessuto sociale. Questa disciplina andrebbe insegnata soprattutto agli adulti: sono costoro i più immemori del bene comune. Ma sperare che gli adulti trovino il tempo e mostrino disponibilità a sottoporsi ad un esame di coscienza è pensiero ingenuo.
Limitiamoci, quindi, al mondo degli adolescenti e dei giovanissimi maggiorenni, al popolo delle scuole, pubbliche e private. Allora ragazzi, mettiamoci subito al lavoro
Vi invito ad osservare questa foto pubblicata su un quotidiano. Fate girare questa pagina ed osservate con attenzione la foto. Dobbiamo descriverla senza trascurare alcun particolare del paesaggio: individuiamo innanzitutto il luogo, se vi sembra un ambiente interno o un ambiente esterno …. Sì?.... voi tre dite: esterno?.... e gli altri?.. L’avete osservata tutti?... e siete d’accordo?... bene, è un ambiente esterno. Perché?... Perché sulla destra della foto si vede una porzione di aiuola con fiori e piante …. Bene ….. e sulla sinistra si vedono alcuni alberi e il tratto di un viale in terra battuta. E sullo sfondo altri alberi. E sempre sullo sfondo si scorgono le facciate di alcuni palazzi … Benissimo, siamo in presenza di un parco pubblico o di un grande giardino privato. Secondo voi?... Pubblico, pubblico. Sembri molto convinta, perché?... Qui, sulla sinistra, vicino a questo albero, si scorge un cestino dei rifiuti che è tipico dei parchi pubblici ….. ottima osservazione. Proseguiamo nella analisi della foto ed affrontiamone il senso. Un quotidiano quando pubblica una foto lo fa perché attraverso essa vuole informare il lettore di un evento sensibile che accadrà o denunciare un fatto grave già accaduto. Ho intenzionalmente nascosto la scritta sotto questa foto per permettervi di decifrarne il senso. Come vedete al centro di essa campeggia una panchina di marmo bianco con una massa informe di un colore grigio scuro sporco che le pesa addosso. Se non avessi letto la natura di quella massa informe non sarei riuscito a indovinarla. Ragazzi, provateci voi. Che dite? … una balla di abiti usati?... da esporre in vendita nei mercati rionali? No …. Un grosso fagotto di indumenti dismessi da donare ai poveri? No …. Un grosso cane randagio che dorme? No ….. un enorme involucro pieno di rifiuti abbandonato sulla panchina? No …. Qualche altra ipotesi?..... Vi vedo perplessi, anzi scoraggiati. Ebbene, ragazzi, sotto quella massa di stracci sudici e puzzolenti c’è il corpo di un uomo. Di quarant’anni. Violentemente contratto e irrigidito dagli spasmi della morte …. Sì, vi vedo sgomenti. Anch’io ho provato la medesima sensazione. E’ morto l’altro ieri notte. Di ipotermia. Cioè di freddo. Era un senzatetto. Che, quando riusciva a trovare, lavorava. Ma troppo poco per permettersi un rifugio per la notte. Quest’uomo è stato un adolescente come voi, pieno forse dei desideri, delle pulsioni, delle speranze, dei sogni di voi adolescenti. Troppe vicende della sua vita non saranno accadute nel modo da lui progettato. Un debole? Un incapace? Uno sfortunato? Chi lo sa.
Troppi fatti della vita di ciascuno di noi non dipendono dalla nostra volontà. La nascita ad esempio. Dove e da chi nasciamo. Non possiamo scegliere. Eppoi simpatie, antipatie, pregiudizi altrui, combinazioni relazionali a volte imprevedibili, anche nostri errori, possono spingere il cammino di ciascuno di noi in direzioni non cercate e non volute, e il nostro cammino può così diventare molto faticoso e contraddittorio rispetto alle nostre intenzioni. Quest’uomo è stato liberato con difficoltà dal fasciame di stracci sudici e ghiacciati. Il suo corpo, indurito penosamente dal gelo e dalle contrazioni inflitte dalla morte inesorabile,era chiuso in se stesso, in posizione fetale, forse per proteggersi meglio dalle trafitture paralizzanti del freddo. Io ho immaginato che questa figura corporea sia stato il tentativo agonico istintivo di rifugiarsi nel grembo della madre. Ho accostato questa figura alle numerose figure umane mummificate di Pompei, rinvenute nelle posizioni plastiche della morte più incredibili. Incredibili sculture umane colte nell’istante dinamico del trapasso violento dalla vita alla morte.
Ed ora analizziamo il tempo esistenziale di un senzatetto, non senza prima aver messo a fuoco il suo status. Un senzatetto è appunto un senza dimora, e un senza dimora è privo di domicilio. La mancanza di un domicilio non consente di avere una residenza. L’impossibilità di ottenere una residenza comporta l’irrintracciabilità dell’individuo. Insomma il senzatetto non ha alcuno status civile e sociale. Per la società non esiste. E’ un cane randagio a cui il cittadino può buttare un soldo o un tozzo di pane e poi dimenticarsi di averlo mai incontrato. Il senzatetto non è un suo problema. La sua esistenza è un vuoto a perdere e non lascia alcun segno. E’ meno utile e visibile di una lumaca che nel suo cammino almeno lascia una traccia di sé con la sua striscia di bava. Proviamo adesso ad immaginare il tempo di vita di un senzatetto. La sua giornata tipo. Come trascorre il suo tempo di luce? Il senzatetto è un individuo ed ogni individuo ha la sua indole. C’è chi si vergogna della propria condizione e va in cerca di un rifugio isolato per non farsi notare, chi si abbandona rassegnato sui suoi cartoni sistemati in qualche anfratto urbano e dorme o finge di dormire, chi staziona fin dalle prime luci fuori dagli usci di qualche mensa per i poveri in attesa del dono di un pasto, chi più fortunato e forse più volitivo svolge per poche ore quotidiane un lavoro umile di pulizia o di fatica per garantirsi un pasto caldo, un tetto e un letto per qualche notte, indumenti dismessi ma puliti, la possibilità di un bagno caldo per un paio di volte al mese. Chi chiede l’elemosina esponendo cuccioli di cane per impietosire. Chi …… chi …… chi …… insomma c’è anche chi ruba, consapevole magari, se colto in flagranza, di avere risolto per qualche mese il problema del cibo, di un tetto e di un giaciglio. Che?..... Hai detto?.... che il ladro perderebbe però la propria libertà? Certo. La libertà di morire in disumana solitudine su una gelida panchina di un gelido parco pubblico. Morire con discrezione, senza disturbare nessuno. Senza turbare la vigliacca assenza dei più. Immedesimarsi significa trasmigrare nel corpo di un altro, nel pensiero di un altro, penetrare il senso e il carico dei suoi bisogni, delle sue difficoltà, dei suoi stati d’animo. E’ vero: esistono già figure professionali preposte a tali compiti, psicologi, sociologi, pedagoghi, psichiatri. Costoro potrebbero utilmente insegnare immedesimazione nelle scuole. Ben sapendo però che lo scopo dell’insegnamento non è di aiutare delle vittime a superare la loro condizione di disagio emotivo ma di istruire dei potenziali carnefici, gli studenti, nella faticosa disciplina dell’altruismo. Senza altruismo una comunità non è comunità, è una massa informe di tribù e di individui in lotta incessante tra loro. Ogni eventuale cambiamento nel quadro esistenziale è causato dai rapporti di forza. Un sistema di vita fondato sull’egoismo e la competizione non può produrre altro che egoismo e competizione. I fanatici di tale sistema affermano invece che produce progresso, alludendo esplicitamente alle indubbie conquiste della tecnologia. Ignorando che la tecnologia serve all’uomo ma è del tutto refrattaria ai suoi sentimenti e alla sua coscienza. E’ un po’ come la natura, che è cieca, sorda, muta, essendo nient’altro che pura energia. Proviamo ad immaginare ora quale comportamento possa avere un senzatetto durante le ore di buio. È libero, libero di girovagare per la città, di attraversare strade e piazze solitarie e silenziose, di pisciare e di cacare ovunque, anche al centro della strada, di ballare, di correre, di zigzagare da un marciapiede all’altro, di sentirsi insomma il padrone della città. Per un’ora, forse due. Perché dalla terza ora le interminabili file delle facciate dei palazzi, con le loro bocche e i loro occhi serrati, cominceranno a pesargli addosso con la loro indifferenza ricordandogli il suo immenso abbandono e la sua immensa solitudine. Perché si consente che migliaia di persone e di famiglie vivano in strada? È un segno questo di terribile inciviltà e lo sarebbe anche se a sopravvivere in quel modo disperante fosse un solo individuo.