
3. PARI OPPORTUNITA'
Perché si fa un uso indecente dell’espressione “pari opportunità?"
L'opinione dell'Autore
S arei molto felice se l’abuso indecente fosse solo una mia opinione. Purtroppo “pari opportunità” è espressione abusata certamente in tutto il mondo occidentale e capitalista dopo la caduta del blocco sovietico, unico e concreto antagonista di una concezione dell’umanità mercantile e diseguale. La disgregazione dell’Unione Sovietica ha provocato un terremoto di smarrimento in tutte le folte schiere di democratici progressisti dal pensiero debole, inducendoli a rinnegare i valori di ieri in cui si erano forgiati e per i quali avevano lottato. Le certezze di ieri si sono frantumate in alcuni cuori e in altri cuori si sono sciolte lentamente come neve al sole. E ovviamente insieme alle idee sono mutate anche le parole. Così una parola imposta e legittimata dalla rivoluzione francese più di due secoli fa ed attuata dalla rivoluzione russa quasi un secolo fa, la parola uguaglianza si è tramutata in equità e pari opportunità. C’è qualcosa di diabolico e insieme di ingenuo in questa tramutazione semantica. Diabolica è l’ipocrisia di chi ben conoscendo la realtà ripete equità e pari opportunità ad ogni occasione pubblica. Forse per respingere da sé la responsabilità dei propri errori politici o per illudere cinicamente la pubblica opinione che un futuro migliore è sempre possibile. Per tutti. Io non escludo che il futuro dell’umanità possa essere migliore del presente odierno, ma non lo escludo solo perché non riesco ad immaginare una follia planetaria pari a questa che sta insanguinando gli inizi del ventunesimo secolo. La follia nazista insanguinò quasi esclusivamente il continente europeo. C’è qualcosa di ingenuo nel credere che le impressionanti folle di diseredati, il cattolico Papa Francesco parla con dolore di “scarti”, possano ancora troppo a lungo tollerare le iniquità e le demenze di convinzioni e modi di vita divisivi ed escludenti. Non oggi, non domani né posdomani, ma fra venti, o quaranta o sessant’anni esploderà un terremoto sociale globale di tale violenza da annichilire le rivoluzioni francese, russa e cinese, e da far impallidire per potenza distruttiva l’eruzione del Vesuvio che sommerse per tanti secoli l’esistenza di Pompei e di Ercolano. Questo accadrà! Perché le lotte secolari hanno illuminato le coscienze che ogni individuo umano che nasce è portatore di diritti incancellabili, perché incancellabili sono i suoi bisogni. Questo accadrà se l’umanità non sarà capace di trasformare il proprio egoismo e la propria voracità di conquista in desiderio di uguaglianza, di solidarietà, di pace. Bene. Proverò ad analizzare con esempi di vita vissuta, esempi di cruda verità, la consistenza fattiva dell’espressione “pari opportunità” sorvolando con irritazione e sberleffo sulla pessima affermazione di chi promuove le pari opportunità di partenza e non di arrivo. Io sono nato privilegiato, mio padre era un ufficiale giudiziario appartenente di diritto a quella classe sociale che le convenzioni istituzionali definiscono come la media borghesia. La mia famiglia ed io non eravamo ricchi, ma benestanti si, tanto che mio padre non ha avuto alcuna difficoltà a sostenere agli studi me e i miei fratelli in un lungo periodo in cui non esisteva ancora la scuola dell’obbligo. Con il suo danaro ha accompagnato me fino alla laurea in giurisprudenza. In quarta e quinta elementare volle iscrivermi all’Istituto Pontano, un Istituto rigorosamente maschile in cui esistevano le elementari, le medie ed il liceo classico, un Istituto di Padri Gesuiti noto in tutta Europa perché alcuni Padri Gesuiti che vi insegnavano godevano, come grecisti e latinisti, di fama internazionale. Ho fatto questo piccolo passo indietro nel mio racconto solo per poter raccontare una esperienza personale che ha segnato indelebilmente la mia sensibilità per tutta la mia vita futura. L’Istituto Pontano di Napoli, la città da cui provengo, incombeva con la sua mole austera su un quartiere popolare chiamato Quartieri Spagnoli. Un quartiere poverissimo, abbastanza antico, dimenticato dagli uomini e da Dio, ancora oggi povero e dimenticato. Ma nel quale sono germogliati talenti come i cantautori Pino Daniele ed Enzo Gragnaniello. Ma si sa, le eccezioni non creano la regola. Si era in pieno inverno. L’aria pungeva e sferzava. Noi, figli privilegiati, ben protetti da cappotti, guanti e sciarpe, a chiusura della mattinata scolastica uscivamo a frotte disciplinate dall’Istituto chi salendo su un’automobile in attesa chi avviandosi verso la vicina fermata dei tram. Un certo giorno di quell’inverno notai fuori della scuola e lungo la strada che conduceva ai tram giovani soli o in piccoli gruppi di due o tre individui, appoggiati alle pareti dei palazzi o a qualche muretto. Immobili, in attesa. Ma ciò che mi riempì di sbigottita curiosità fu vedere che tutti quei giovani erano scalzi, a piedi nudi in pieno inverno, vestiti poco e in modo approssimativo, alcuni sui pantaloni logori indossavano soltanto una canottiera. La mia curiosità del primo giorno mutò in inquietudine quando questa presenza immobile e silenziosa si protrasse puntualmente per qualche settimana. Mi sentivo ogni giorno più osservato, sguardi di gelida intensità. Di quella situazione insolita e per molti di noi studenti scioccante se ne parlò spesso in classe e dai nostri insegnanti si apprese che quei giovani erano scugnizzi dei quartieri spagnoli, scugnizzi li chiamavano, alcuni insegnanti con disprezzo, altri con simpatia, giovani poverissimi, senza istruzione e senza mestiere, dediti per sopravvivere al contrabbando delle sigarette. Oggi in quel quartiere si spaccia droga e si gira armati. Gli stessi insegnanti ci spiegarono che quegli scugnizzi salivano dai quartieri per osservare e giudicare i figli dei signori. Mettevano in atto una forma di provocazione pacifica. Un paio di insegnanti ci informarono che gran parte di quegli scugnizzi avevano combattuto accanto ai partigiani durante le quattro giornate di Napoli contribuendo alla cacciata dei tedeschi dalla città. Troppo piccolo per organizzare uno straccio di pensiero razionale su quella mia esperienza, incubai ed allevai le immagini e le emozioni vissute che mi condussero d’istinto ad elaborare per quei giovani una tenerissima commozione e una compiuta comprensione. La maturazione del pensiero e lo studio mi fornirono ben presto efficaci strumenti di analisi della realtà: la società napoletana era ed è rigidamente divisa in due blocchi sovrapposti: in basso la plebe, in alto la media ed alta borghesia benestante e ricca. Con la nascita della repubblica la classe aristocratica si è ridotta a puro folclore. La plebe, esistente in quantità massiccia in tutte le città italiane, era ed è a Napoli l’assoluta maggioranza della popolazione: numerosi sono ancora oggi a Napoli i quartieri poverissimi ed affollati. Accanto ai Quartieri Spagnoli, quartiere storico, già menzionato, posso affiancare la Sanità, Forcella, Duchesca, il Quartiere del Porto, Mergellina, Ponticelli, Soccavo, Pianura, Fuorigrotta, ecc….. . Io da studente liceale ho molto frequentato ed amato alcuni di questi quartieri: in essi ho percepito e conosciuto la vera anima umana, nobile, arguta, dei napoletani; anima che oggi non esiste più, quell’anima si è indurita, illividita, inferocita. Ricordo nitidamente gli sciami di bambini che uscivano dai bassi (per la descrizione di un basso napoletano rinvio alla lettura della descrizione minuziosa ed efficace che ne fa Filomena Marturano nell’omonimo dramma di Eduardo De Filippo), bambini che la povertà a volte estrema della propria famiglia costringeva ad inventarsi qualche espediente per procurarsi il pane quotidiano. A quei bambini la scuola dell’obbligo non è servita granché: non frequentavano affatto o frequentavano saltuariamente la scuola, pressati dai morsi della fame e dalla condanna ad imparare in fretta come sopravvivere. Molti di quei bambini appartenevano a famiglie disgregate, in cui spesso il padre era detenuto e la madre o una sorella esercitavano una prostituzione di umiliante livello. Ancora oggi esistono nei quartieri che ho menzionato situazioni familiari analoghe e figli allo sbaraglio. Sarebbe opportuno e coraggioso che quei fanatici delle pari opportunità, fanatici dalla pancia piena e dalla coscienza torbida, si recassero presso quelle famiglie a discutere di pari opportunità offrendo soluzioni. Bene. Per concludere questo tema proverò brevemente ad immergermi nell’intricata foresta dei ruoli, delle funzioni, delle appartenenze esistenti all’interno della struttura amministrativa di una città come Napoli per cavarne fuori un po’ di materiale utile ad effettuare illuminanti comparazioni ed esemplificazioni. Sarò breve, cari ragazzi, perché so quanto impaziente sia la vostra attenzione. Parlerò, come esempio, del Banco di Napoli, per decenni unica, vera banca pubblica della città, crocevia obbligato di tutte le operazioni finanziarie e commerciali, forziere dei risparmi della media ed alta borghesia, perno insostituibile della ricostruzione edilizia di interi quartieri del centro distrutti dalla guerra. Tutto il personale dirigenziale e impiegatizio proveniva dalla classe borghese essendovi per una eventuale assunzione l’obbligo del possesso di un diploma di maturità. Obbligo che per la banca era anche una norma di autogaranzia. Il Banco di Napoli, prima che divenisse banca privata e confluisse con altre banche nazionali in un unico polo bancario privato, fu terra di conquista di un pugno di politici che si alternarono nel suo controllo. Pur essendo una banca pubblica non si veniva assunti per concorso pubblico ma solo per chiamata diretta. All’interno poi, si era nel tempo consolidata la convenzione generale che all’uscita di un impiegato per limiti di età subentrasse nell’impiego e nel ruolo un suo figlio o un suo parente stretto. Questo accadeva nel mondo dei bancari. Ieri. Ed oggi più o meno la prassi è quasi uguale. Diverso il cammino dei banchieri. Ambitissime le cariche di presidente e direttore generale nelle cui mani si accentravano tutti i poteri di decisione e di spesa. Gli aspiranti banchieri, tutti forniti di una laurea, selezionatissimi nell’ambito delle appartenenze parentali o politiche, venivano inseriti nel Consiglio di Amministrazione, primo e necessario scalino verso il potere. Questo accadeva nella banca pubblica Banco di Napoli. Oggi, nelle banche privatizzate conta solo il danaro, la quantità di azioni possedute determina i giochi di potere. Quanto descritto sul mondo bancario (lo stesso racconto si può scrivere per qualsiasi altro Ente Pubblico che determini per l’assunto un avanzamento di stato sociale) ci pone un interrogativo obbligatorio: che possibilità un popolano, un plebeo, un abitante dei quartieri poveri aveva di essere assunto nel Banco di Napoli, o qualsiasi altro Ente, aspirando ad un legittimo riscatto sociale? Nessuna possibilità. Ieri. Ed oggi? Ancora meno, dovendo concorrere, ammesso che gli sia concesso di concorrere, con tanti giovani laureati e titolati tristemente disoccupati e privi di futuro. E allora? Quale è il senso delle pari opportunità di partenza? Continuare a parlarne diventa un insulto. All’intelligenza, alla sensibilità, ai bisogni elementari e alle speranze di vita delle persone. Le pari opportunità sono una favola centellinata con sadismo ai tanti creduloni e ai tanti disperati che popolano le nostre città. Concludo qui. Ma nei prossimi perché sarò obbligato a ricordare ancora questo malinconico slogan.